Ultimamente visito molte aziende e parlo con numerosi manager.
Chi mi conosce mi dirà che lo facevo anche prima. È vero, ma grazie alla mia nuova attività nell’ambito del Temporary Management è cambiato il motivo dell’incontro. Se prima dovevo trovare delle soluzioni per l’azienda che gestivo, ora al contrario devo capire come risolvere i problemi di managerialità delle aziende che mi contattano.
Temporary Manager per scelta, non per ripiego
Non è facile. I problemi per risolverli devi viverli internamente. Ciò che mi aiuta per fortuna sono le esperienze precedenti che per uno strano gioco riescono ad aprire e chiudere cassetti con soluzioni che si adattano molto bene alle varie circostanze.
Oltre a risolvere problematiche di managerialità, capita spesso alla fine di fermarsi a parlare con i manager i quali, incuriositi dalla mia nuova professione, iniziano un turbolento viaggio introspettivo che ha come fine ultimo la paura un giorno di fallire, di cadere, di essere messo ai margini dalla propria azienda e di dover ripartire da capo.
“Se succede potrei intraprendere la professione del Temporary Manager! È una bella opzione” mi dicono. Poi mi guardano come se da me aspettassero un segno di approvazione per questa scelta e magari anche di interesse a considerarli in futuro se dovesse accadere questo famigerato “fallimento”.
La mia risposta in questi casi non è accondiscendente. Prima di tutto perché il Temporary Manager non è un’opzione di ripiego. Chi intraprende questa professione lo fa per convinzione e non perché è rimasto senza altre opzioni.
In secondo luogo faccio presente che oggi è necessario mettere in preventivo il fallimento. Crisi economiche, pandemie, guerre, acquisizioni, fusioni, passaggi generazionali ci hanno riportato a riconsiderare il ruolo del manager in azienda. La sua permanenza all’interno dell’organico infatti non è scontata. Molti sono i fattori che potrebbero improvvisamente cambiare lo scenario e causare, per motivi assolutamente non riconducibili alle capacità della persona, la perdita del posto di lavoro.
I Manager oggi non sono pronti ad affrontare il “fallimento”
Alcuni lo considerano come un fatto che potrebbe accadere ma molti preferiscono non considerarlo. Ma quando accade crolla il mondo addosso. Autostima, motivazioni, aspirazioni, relazioni professionali e personali si annullano e resti solo ad affrontare una situazione che nessuno prima ti aveva insegnato come affrontare.
La cultura italiana purtroppo non aiuta. Da noi il fallimento o la perdita del posto del lavoro è visto come una sconfitta. Nei Paesi anglosassoni e nordamericani invece il fallimento non è una macchia sociale ma bensì una prova per poter fare meglio. È un’occasione utile di apprendimento.
Purtroppo nessuna università italiana ha all’interno del proprio percorso di studi una materia che insegni ad affrontare il fallimento. Ad Harvard invece ciò accade. Non si parla solo di fallimento professionale ma anche di quello personale. È impossibile vivere senza fallire in qualcosa. La conoscenza di sé stessi avviene durante le avversità. La propria forza e capacità manageriale emergono proprio nel mentre di un fallimento. È provando la sofferenza di un insuccesso che si impara e si rafforzano i quattro pilastri che ogni manager dovrebbe avere: la resilienza, l’ottimismo, la speranza verso il futuro e il coraggio.
A tutti i manager che dovranno affrontare un fallimento professionale dico: “Prenditi tempo, allontanati dalle certezze e lasciati smarrire. Solo il bravo manager è colui che sa inciampare e ripartire con nuove possibilità”.
Marco Zampieri
Founder & CEO
Manager a Tempo® | CEO
Manager a Tempo® | Sales