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Un imprenditore: “Ho fallito. Ma non per questo sono un fallito”

Il concetto di fallimento (d’impresa) sta cambiando finalmente!
Da sempre il fallimento, a differenza dei Paesi Anglosassoni e nordamericani, è stato concepito in Europa, e soprattutto in Italia, in modo del tutto negativo.
Sappiamo tutti invece che i più grandi imprenditori (ma chissà quanti nel nostro territorio) sono arrivati al successo passando dal totale fallimento. Pensiamo ad esempio a Thomas Alva Edison, fondatore della General Electric Company, il quale affermò: «Io non ho fallito 5.000 esperimenti. Ho avuto successo 5.000 volte, gli insuccessi mi hanno insegnato che quei materiali non funzionavano». Oppure per arrivare ai giorni nostri a Steve Jobs il quale ha dovuto passare dal fallimento per porre le basi del successo della Apple.
In molti ritengono che tale diversità di concepire il fallimento tra la cultura europea e americana sia dovuto alla differenza tra i principi della cultura cattolica e quella protestante. Mentre quest’ultima è centrata sull’individuo, il quale deve emergere da solo nella società e non sarà per questo stigmatizzato se non ne sarà capace, quella cattolica si concentra più sullo Stato e sul principio di sussidiarietà introducendo il fallimento del singolo come colpa sociale.
Tale approccio culturale ha condizionato anche la giurisprudenza. Mentre in USA la procedura fallimentare ha l’obiettivo di riorganizzare e risanare e non di mettere in liquidazione, in Italia per molto tempo si è considerato il fallimento come conseguenza di un cattivo comportamento della persona (l’imprenditore) che invece di essere aiutata va invece giudicata.

 

Verso un nuovo modo di concepire il fallimento d’impresa

Sembra finalmente che qualcosa in Italia stia cambiando con un nuovo approccio al fallimento d’impresa.
Un primo indizio è stato l’ordinanza del Tribunale di Vicenza del 13 Giugno 2021 dove esprime l’inadeguatezza dell’uso del termine “fallito” il quale non si ferma all’ambito della vita lavorativa ma va ampiamente a minare anche la sfera personale e relazionale dell’individuo. Non è tollerabile che una persona si privi del valore della vita (come a volte è successo) per una conseguenza che molto spesso non è riconducibile alle azioni della persona. Basti pensare ai fallimenti avvenuti a causa della crisi economica o della pandemia i quali non avevano nessun collegamento di causa-effetto con comportamenti irresponsabili di gestione d’impresa.
Un secondo e importante passo è stato fatto il 1 Settembre 2021 con il Codice della crisi d’impresa dove si è sostituito il termine “fallimento” con “liquidazione giudiziale”. Sulla spinta di altre nazioni europee anche in Italia si sta cercando di abbandonare il senso negativo del fallimento per introdurre invece il concetto di superamento o riorganizzazione d’impresa. La crisi, qualunque essa sia, è vista come una situazione oggettiva di difficoltà in cui l’imprenditore si è venuto a trovare e non come un insieme di fatti su cui bisogna sanzionare qualcuno.
Il fallimento è un’opportunità di cambiamento, per ritrovarsi e innovarsi. Non per smarrirsi senza avere altre opportunità. Dobbiamo andare oltre il fallimento e creare le condizioni affinché l’imprenditore, che si è sempre comportato correttamente, possa emergere con altre opportunità d’impresa.

 

Marco Zampieri
Founder & CEO
Manager a Tempo® | CEO
Manager a Tempo® | Sales

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Autore: Marco Zampieri
Pubblicato il 21 / 09 / 22

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