Temporary blog

Il well-being nel contesto lavorativo

Un caso pratico gestito da Manager a Tempo®

“Da quasi 30 anni lavoro per le Persone e per le aziende, dapprima come Direttore HR e ora, da sette anni, come HR Interim/Temporary Manager” – racconta Stefano Pozzi. “Manager a Tempo per me è diventato un riferimento e un motivo di confronto e crescita.”

“Lo scorso giugno, Marco Zampieri, Founder & Titolare di Manager a Tempo®, mi propose una missione complessa: accompagnare un progetto di forte sviluppo aziendale in brevissimo tempo e costruire tutte le attività e policy HR che potessero supportarlo. Ciò in una importante azienda manifatturiera calzaturiera del lusso molto, molto centrata sulla figura dell’imprenditore.

L’obiettivo era quello di gestire una transizione dell’ufficio del personale esistente, strutturarlo, e di disegnare e avviare diversi nuovi progetti che riguardavano il personale (welfare, mensa aziendale, regolamenti, lavoro agile, comunicazione interna), la creazione di piani di attrattività per gli esterni (comunicazione sui social, definizione valori, rapporti con scuole superiori e medie inferiori, ITS e università) ed anche aspetti meramente organizzativi.”

“Mi piacciono le sfide” – continua Stefano Pozzi “e mi piace mettere tutto il mio entusiasmo e tutte le mie esperienze e competenze nelle cose che devo fare. Quindi accolsi subito l’opportunità con grande energia e mi presentai all’imprenditore nelle belle e accoglienti colline marchigiane per un contratto di temporary management della durata di qualche mese.

“Da questa esperienza ho potuto trarre delle riflessioni che riguardano in particolar modo il work-life balance, il coinvolgimento del Personale e l’employer branding.” In questo articolo vogliamo approfondirne alcuni aspetti.

Giovani, work-life balance e partecipazione 

Da oltre un anno, in tutte le aziende e in tutti gli ambiti, c’è sempre più richiesta di maggiore attenzione alle Persone: i giovani sono molto più attenti, rispetto al passato, alla qualità del loro tempo, e pongono il work-life balance al centro delle loro priorità. Questo cambiamento è ormai profondo ed insito nelle Persone: tutti vogliamo più spazio per stare vicino ai nostri cari, avere più tempo da dedicare a noi stessi e, nel lavoro, fare cose che riteniamo utili.

Partecipazione è l’altra parola che coinvolge soprattutto i più giovani che entrano in azienda, tra cui i millennials (nati tra il 1981 e il 1996) e la generazione Z (1997-2012); generazioni per cui il Lavoro non è più emancipazione sociale o mero guadagno di denaro, ma deve essere fonte di stimolo professionale, offrire la possibilità di raggiungere i loro obiettivi e rispecchiare i loro valori, che possa permettere loro di rispettare quell’equilibrio tanto importante tra vita privata e lavorativa.

Come contrastare il fenomeno del quite quitting

Se le aziende ritardano o non considerano importante indicare valori, non concedono nuovi spazi temporali e riconoscimenti alle proprie Persone, si avviano in un percorso di declino. Negli ultimi mesi, infatti, stiamo assistendo sempre più al quite quitting, l’abbandono silenzioso”, quel fenomeno per cui i Lavoratori svolgono solo lo stretto indispensabile loro richiesto, il lavoro minimo ‘contrattuale’, per concentrarsi e dare spazio alla ricerca del benessere personale all’esterno del luogo di lavoro (sport, famiglia, affetti, volontariato, ecc.).

Nelle aziende possiamo fare molto per contrastare questo fenomeno: innanzitutto, dovremmo predisporci all’ascolto dei bisogni, che sono molto diversi da Persona a Persona, e poi progettando e sviluppando soluzioni.

È molto difficile per le aziende, soprattutto se manifatturiere, fare propri questi messaggi, ma i progetti di espansione e di crescita devono partire da qui: well-being anche negli ambienti di lavoro, smart-working, strumenti di welfare, employer branding e comunicazione costante dei valori aziendali.

Tra calo demografico, retribuzioni insoddisfacenti e flussi migratori per lavoro

Tutti ci stiamo interrogando se il nostro Paese stia vivendo il declino nell’industria (passata dal 18,5% del PIL nel 1992 al 14,7% di oggi), ma in realtà non è così: la manifattura italiana è saldamente al 2° posto in Europa e al 7° nel mondo (con il 2,2% della produzione mondiale e 360 miliardi di euro nel 2020). Possiamo certamente andarne fieri, ma abbiamo tre fattori che sono un pericolo incombente per il futuro:

il calo demografico inarrestabile, che non immette centinaia di migliaia di giovani nel mercato del lavoro (e di consumatori..) e che si sta accentuando con l’uscita dei baby boomers (1945-1964) dal lavoro,

lo skill mismatch irrisolto tra domanda e offerta di lavoro con la scuola che forma Persone e le aziende che desiderano, al termine del ciclo scolastico, trovare Lavoratori pronti,

le basse retribuzioni italiane medie che abbassano l’attrattività del lavoro nel comparto manifatturiero e portano la forza lavoro in altri paesi europei con welfare ed economie decisamente migliori e retribuzioni più alte mediamente del 20/30% (l’Italia è l’unico Paese dell’OCSE in cui le retribuzioni medie reali sono calate negli ultimi anni).

Possiamo fronteggiare e superare questi pericoli? Credo di si, ma dobbiamo essere ambiziosi e investire tanto denaro pubblico e privato sugli strumenti che sono in grado di  invertire queste tendenze.

Nel frattempo, ogni mattina in azienda, dobbiamo sapere fare meglio e più velocemente degli altri, dei concorrenti nel mercato dei nostri beni e servizi, ma anche nel mercato del lavoro, per non perdere terreno, anzi conquistarlo, in un mondo sempre più volatile, incerto, complesso e ambiguo (VUCA), ma ne parleremo in altre occasioni.

 

Stefano Pozzi
Team Partner Veneto
Manager a Tempo® | HR

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Autore: Stefano Pozzi
Pubblicato il 18 / 11 / 22

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